Se ti sposi con una napoletana hai molte più opportunità di scoprire aspetti dell’essere partenopei . E cosi, oltre ad aver scoperto molti angoletti favolosi di questa bellissima città e molti piatti tipici, ho scoperto anche una simpatica e golosa consuetudine : o cafè con la sfogliata o il babà da Scaturchio.
Non me ne vogliano gli altri pasticceri di Napoli , tutti bravissimi, ma tra i luoghi di quando eravamo fidanzati, c’è quella bellissima zona che va dalla chiesa del Gesù nuovo a Santa Chiara non lontana dall’università che all’epoca mia moglie frequentava. In questi luoghi magici a rendere più intrigante la passeggiata c’è una istituzione tra le pasticcerie napoletane ovvero Scaturchio.
Nel ricco panorama dei dolci un posto d'onore tocca allo strepitoso babà, per nome ha un semplice raddoppio di una sillaba che pronunciato nel musicale accento napoletano diventa poesia.
E' un dolce di stirpe regale, ad inventarlo infatti fu il re di Polonia Stanislao Leszczynski (1677 – 1766). Detronizzato fu mandato in esilio in Francia e qui al povero re veniva propinato il gugelhupf, un dolce austriaco morbido ma piuttosto asciutto o rinsecchito, stufo forse di ciò ebbe la brillante trovata non si sa quanto fortuita di bagnarlo con rum e sciroppo zuccherino. La bagna ne è il lavacro rigeneratore, gli dà brillantezza, morbidezza e quella particolare fragranza moderatamente alcolica. Dopo alterne vicende che per brevità non raccontiamo arriva finalmente a Napoli, dove riceve la sua consacrazione e dove acquista tutto il suo splendore. Il babà è un dolce che non conosce mediazioni contadine e non nasce entro le mura di un monastero: è cittadino e illuminista, ma è anche soprattutto – noblesse oblige – Sua Maestà il Babà!
Chiostro di Santa Chiara
Che pizza!!!
Questa storia comincia qualche millennio fa, un pugno di farina di frumento e un po' d'acqua bastavano a preparare un impasto, che volta per volta veniva schiacciato, allungato, forse già tagliato nelle fogge più disparate e fantasiose. l'impasto cotto su pietre arroventate dal fuoco dava vita ad un alimento semplice e che già doveva apparire appetitoso ai nostri progenitori…..
(Tramonto a
Castel dell' Ovo)
L'antica storia si perde nel tempo ma facciamo un balzo in avanti di secoli: ed ecco apparire quell'infinita varietà di prodotti a noi così familiari, orgoglioso vanto del nostro paese, partendo da quel semplice impasto arricchito nel tempo e sempre più elaborato troviamo sulle nostre mense un opulento catalogo di fantasiosi formati di pastasciutta, di pasta fresca, paste ripiene, focacce, e via via elencando fino a giungere alla rinomata pizza napoletana.
E' in questa città che con inventiva e sapienza avviene lo straordinario matrimonio tra il pomodoro, giunto dalle lontane Americhe e felicemente acclimatato sulle terre della nostra penisola, e il nostro antico impasto steso, schiacciato e rotondo.
A Napoli una prima pizza descritta nelle fonti è la Marinara, cibo anche di pescatori ma che a dispetto del suo nome non contiene ingredienti marini ma prodotti della terra: il pomodoro già citato protagonista, aglio, olio d'oliva e profumato origano: la povertà costringeva i pescatori a rivendere tutto il pescato che finiva sulle mense di ricchi e pasciuti signori.
E' sul finire degli anni ottanta dell'Ottocento che sale alla ribalta la celeberrima Margherita, forse la pizza per antonomasia, popolarissima, che mette un po' in ombra la più antica Marinara.
Leggenda o storia, si narra che nel 1889 un famoso pizzaiolo napoletano volle dedicare alla regina Margherita, che era in visita nelle città, una pizza di sua invenzione: si cimentò in questa regale preparazione aggiungendo al rosso sanguigno pomodoro il bianco perlaceo della mozzarella e il verde brillante e "fragrante" del basilico
Questa fastosa tavolozza aveva anche il merito di evocare il patriottico tricolore della bandiera, emblema di una nazione da poco unificata sotto il regno Sabaudo.
Pare che l'iniziativa incontrò la non malcelata disapprovazione e il biasimo di non pochi nostalgici e realisti borbonici, che guardavano ai piemontesi Savoia come degli usurpatori: ma questa è un'altra storia, terreno di scontro tra studiosi e accesi partigiani, non è di nostra competenza.
Le due pizze hanno ottenuto qualche anno fa un riconoscimento ufficiale fatto di timbri e regolamenti delle istituzioni europee, è nato difatti un disciplinare esauriente e rigoroso sulla preparazione della Marinara e della Margherita: ingredienti, dosi, cottura, misure da rispettare per fregiarsi della denominazione di vera pizza napoletana. Che occorresse credo non ci siano dubbi o perplessità visto il proliferare di pizzerie in Italia e nel mondo, spesso da pizzaioli improvvisati.
Saranno anche pizze buone, saporite, gustose, con eccellenti e genuini ingredienti ma non sono le pizze che ogni napoletano mangia con voluttuosa dedizione e appetitosa soddisfazione, se è vero come scriveva Stendhal che la bellezza fosse promessa di felicità anche sulla pizza vale la pena parafrasare: leggere sul menù Marinara e Margherita deve promettere felicità, ma troppo spesso a noi napoletani ci viene negata quando usciamo dai nostri "confini". Perdonate il provinciale campanilismo o il bieco localismo, il cibo è una questione molto molto sentimentale, una debolezza del cuore ma anche e perché no, del palato !!
Forse non tutti sanno che,
è notizia di questi giorni che la pizza napoletana sia inserita tra i beni dichiarati patrimonio dell'umanità, l'iniziativa ha già raccolto alcune centinaia di migliaia di firme per essere inoltrata all'Unesco. Non c'è forse un cibo più universalmente conosciuto come la pizza, prodotta e consumata in mezzo mondo, già di suo quindi autentico "patrimonio dell'umanità" ma proprio per questo motivo occorre tutelarne l'immagine, affermarne l'italianità o meglio ancora la napoletanità con i suoi specifici ingredienti, valorizzare la sua unicità di sapori e profumi, difenderla da pallide imitazioni e orribili manipolazioni: simulacri di gusto e genuinità che ne mortificano la grandezza, ci sia perdonata questa nostra accorata apologia, abbiamo un debole per la vera "pizza"!
Un discorso più generale andrebbe fatto per tutti i falsi cibi italiani che girano per il mondo, il danno economico che ne deriva e l'insulto al gusto che provoca ma ne riparleremo presto.
LA CUCINA NAPOLETANA
La cucina napoletana è una mescolanza di differenti culture che partendo dagli influssi dei fondatori Greco Romani, si accresce delle influenze delle altre culture che si sono susseguite nelle dominazioni di quelle terre. Ma non solo questo, perché la creatività e la fantasia dei partenopei, accomunati alla disponibilità di materie prime di prim’ordine, hanno portato a una cucina che sa offrire una varietà di preparazioni.
Occorre fare una distinzione tra la cucina più aristocratica, che comprende piatti elaborati e ricchi come Gâteau (Gattò) di patate, i timballi di maccheroni, il Sartù di riso ma anche i Tortani o la Pastiera tipicamente pasquale, e quella popolare, fatta di ingredienti della terra come verdure, legumi e cereali.
La cucina napoletana offre tanto piatti di terra quanto di mare e troveremo quindi molluschi, pesce o crostacei del golfo, quanto ottime pasta di alta qualità dalla vicina Gragnano, latticini del salernitano o del casertano, e verdure a profusione…
Il Ragù alla napoletana
La pasta, quotidiana e rassicurante presenza sulle nostre tavole è un cibo di una semplicità quasi disarmante ma trova il suo completamento con i più svariati e fantasiosi condimenti, non c'è luogo, borgo in Italia che non rivendichi orgogliosamente la creazione, ma è a Napoli che la pasta conosce la sua apoteosi nello sposalizio col Ragù.
Il ragù è più che un condimento, è un rito celebrato nell'ara domestica, riunisce intorno a sé la famiglia, spande il suo profumo preannunciando il gioioso consumo domenicale. Il ragù non ama la fretta, ha bisogno di tempo, è laborioso nel suo sobbollire per ore, va preservata la sua tradizionale preparazione perché non si snaturi e ceda il passo a effimere mode salutiste e sciagurate passerelle televisive.
Con la sua sensibilità di artista Eduardo ha scritto una commedia che proprio nella preparazione del ragù trova le sue cadenze, quasi che detti lo svolgimento dei tempi drammaturgici, e inoltre gli ha dedicato una poesia, simbolico gesto d'amore per il ragù e forse per la sua città e scrivo forse per la sua città visto anche il tono conflittuale con cui l'ha vissuto.
O 'rraù
'O rraù ca me piace a me
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Il ragù
Il ragù che a me piace
Sì, va bene: come vuoi tu. |
La braciola napoletana
Nel dialetto napoletano il termine braciola non indica, come avviene in altre parti d'Italia, una fetta di carne ricavata dalla lombata, ma viene utilizzato per riferirsi all'involtino sia di carne, sia di pesce che di verdure. Le braciole al sugo sono il boccone più ambito delle carni cotte nel Ragù napoletano, una tradizionale pietanza che un tempo non poteva mancare sulle tavole per il pranzo della domenica. Esse venivano, infatti, cotte per ore ed ore a fiamma lenta in tegami di coccio. Con il sugo ci si condiva la pasta ed erano d’ obbligo gli ziti che i bambini più piccoli spezzavano per dare una mano alla mamma ed avere così la soddisfazione di contribuire al pranzo domenicale.
Ma che cosa si usa per farcire le braciole? Si usa uvetta, pinoli, prezzemolo tritato, pezzetti di formaggio ( vanno bene anche gli avanzi); mia madre aggiungeva anche qualche fogliolina di menta.
Tradizionalmente la preparazione del Ragù napoletano prevede di aggiungere alla braciola un misto di carne di manzo (tagli poco pregiati, che necessitano di lunga cottura) e di maiale. Tipicamente il muscolo di manzo (gamboncello o colarda), le spuntature di maiale (tracchie), l'involtino di cotenna (cotica),e la polpetta di macinato.
I dolci napoletani
Da una cucina essenzialmente povera, l’estro dei napoletani ha elaborato con sapienza e passione una cucina ricca. Oggi i dolci napoletani sono unanimemente riconosciuti come parte integrante del patrimonio nazionale, esplosione di profumi e sapori.
Le suore dell’antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.
Delizie di sfoglia come la Santarosa, cugina maggiore della sfogliatella,
i Susamielli dell’antichissimo convento di Donna Regina,
le Monachine del monastero delle Trentatré di via Pisanelli,
la Pasta reale del convento delle Maddalene,
le Sapienze del monastero di Santa Maria della Sapienza…
… e tanto altro che non trascrivo per non annoiarvi.
La sfogliatella ….riccia o frolla?
La leggenda narra che nel 1600 nel bel Convento di Santa Rosa, che dall'alto ancora oggi domina su Conca dei Marini, a una suorina venne in mente di impastare della semola cotta (avanzata) nel latte e aggiungere frutta secca, limoncello e zucchero. Un ripieno con il quale la suorina farcì una sfoglia a forma di cappuccio da monaca, fatta di strutto (il grasso del maiale, che in napoletano è chiamato 'nzogna) e vino bianco, guarnita con crema pasticciera e un'amarena.
Fu Pasquale Pintauro nel 1818, titolare di un’osteria in Via Toledo, di fronte a Santa Brigida, ad entrare in possesso della ricetta, decidendo così di trasformare la sua osteria, in pasticceria. A 200 metri l'una dall'altra, passeggiando per via Toledo (o via Roma) sorgono le due migliori pasticcerie di sfogliatelle: Pintauro e La Sfogliatella Mary.
Le zeppole di San Giuseppe
Sono un dolce tipico della tradizione italiana, particolarmente popolare nella zona vesuviana. Le zeppole sono i dolci tipici della festa del papà, preparati per festeggiare e celebrare la figura di San Giuseppe.
Secondo la tradizione dell’epoca, dopo la fuga in Egitto con Maria e Gesù, San Giuseppe dovette vendere frittelle per poter mantenere la famiglia in terra straniera.
Devo dire che poche persone hanno raccolto come te ,Ciclamino, lo spirito di incontro tra amici con le stesse passioni che vuole essere il motivo dominante di questo sito. Pertanto grazie di cuore per i tuoi commenti. Quanto alla mia dolce metà ha promesso che produrrà qualcosa , ma se ti devo dire la verità, mi sembrava una risposta interlocutoria…..Ho in mente il sistema per accontentarti, chiederò a mia cognata che per queste cose è più affidabile !