Nel passato il pasto veloce della gente di campagna nei campi o dei pescatori nelle lunghe permanenze in mare era costituito da un supporto di grano che faceva da base a qualche verdura, una frittata o ciò di cui si disponeva, nascono cosi quelle preparazioni umili ma gustose della tradizione gastronomica italiana. Mi riferisco alla pizza bianca del fornaio farcita da mortadella e fichi tipicamente di questo periodo, ma anche quei quarti di pagnotta in cui le casalinghe ponevano pantagrueliche frittate con le cicorie di campo. Nel meridione e più spiccatamente in Puglia si usavano e si usano le frise. La frisa, o frisella, è una specialità che rientra nella categoria dei prodotti da forno e in dialetto pugliese viene chiamata anche "friseddha" mentre in napoletano "fresella". A dirla tutta la frisella viene prodotta e consumata anche in Calabria e in Basilicata.
Ma che cos'è la frisa? Non è altro che un tarallo di grano duro (ma anche orzo o in combinazione secondo varie proporzioni) cotto al forno, tagliato a metà in senso orizzontale e posto nuovamente in forno per farlo biscottare . Dunque dobbiamo distinguere tra la frisa e il pane o la pizza : la frisa infatti non è un pane, in quanto è cotto due volte (bis-cotto).
L'impasto, ottenuto dalla lievitazione di farina di grano o orzo con acqua, sale e lievito, viene lavorato a mano per renderne omogenea la struttura e tagliato nelle dimensioni desiderate e secondo la tradizione locale, lavorato fino a ottenere la forma di una losanga. Con un gesto che ha origine nella notte dei tempi, si premono le quattro punte delle dita perfettamente allineate lungo l'asse della losanga diminuendo lungo l'asse principale lo spessore, il che agevolerà lo spacco successivo. La losanga ottenuta viene arrotolata su sé stessa in una forma a spirale con piccolo foro centrale e successivamente infornata a contatto con altri pezzi, in piccole palettate di sei-otto forme.
Dopo la prima cottura la singola forma, ancora calda, viene tagliata con un filo "a strozzo" orizzontalmente lasciando sulla faccia dello scorrimento dello spago la caratteristica superficie irregolare per cui presenterà una faccia porosa e una compatta.
I due pezzi ottenuti, quello inferiore col fondo piatto e quello superiore con il dorso curvo, si cuociono nuovamente in forno per eliminarne l'umidità residua . La frisa veniva conservata nelle "capase", contenitori di creta per preservala dall'umidità e favorirne la conservazione. La frisa viene normalmente preparata con grano pugliese che contiene parti di crusca, il rossello, e per gustarla si bagna in acqua fredda (sponsatura) per un tempo che dipende dal gusto individuale e dalla consistenza della pasta cotta .
La pezzatura della singola frisella, in passato, corrispondeva alla porzione di pane necessaria al regime alimentare di un lavoratore addetto a lavori pesanti e spesso costituiva l'intero apporto calorico del pasto. Le friselle di pezzature maggiore, grazie alle lavorazioni precedenti alla cottura, all'atto della bagnatura si dividono quasi naturalmente in più parti ed è usanza servirle già nel piatto divise per facilitarne il condimento mentre e friselle di più piccole si bagnano e si condiscono intere. Il condimento più diffuso è pomodoro fresco, Origano, sale e un filo d'olio extravergine d'oliva e se poi ,prima di bagnarla ci sfreghiamo uno spicchietto d'aglio sarà ancora più saporita. Poi ci si può aggiungere di tutto: capperi, olive, lampascioni, acciughe e magari qualche erba aromatica, prima tra tutte l'origano… Se poi avete una preparazione brodosa, una zuppetta di pesce o un minestrone, la sua consistenza e il sapore, specie se d'orzo o integrale, sposeranno magnificamente con la parte liquida.
La forma non è casuale ma risponde alle necessità di trasporto e conservazione. Le friselle venivano poste a formare una collana con una cordicella i cui terminali venivano annodati che risultava facile da appendere per un facile e comodo trasporto e per la conservazione all'asciutto quando lontani da casa. La frisella era infatti un pane da viaggio; da qui l'uso di bagnarla in acqua marina da parte dei pescatori, che la usavano anche come fondo per le zuppe di cozze o di pesce, pasto abituale delle lunghe battute di pesca. In passato in Puglia era uso comune bagnare le friselle direttamente nell' acqua del mare, e consumarle condite col solo pomodoro fresco, premuto per farne uscire il succo.
La frisella può essere conservata a lungo e per questo era una valida alternativa al pane, specialmente nei periodi in cui la farina era più scarsa. In Puglia è conosciuta anche come il pane dei Crociati perchè spesso parte del vettovagliamento durante il viaggio delle truppe cristiane verso le lontane terre d'arabia.
Nelle tradizioni contadine del Salento la panificazione avveniva settimanalmente nei forni a legna delle abitazioni rurali o in quelli dei panifici. A seconda del numero di famiglie l'impasto aveva volumi differenti e vari in funzione anche dei prodotti a cui lo stesso era destinato: pagnotte ma anche pane con le olive, le cipolle, i peperoni, ecc. La gran parte dell' impasto era destinato alle friselle che avevano un tempo di conservazione maggiore.
Nel barese le friselle vengono chiamate "cialledde" e inzuppate con acqua ma anche sugo di pomodoro e olio, vengono consumate con lampascioni e carciofini e sono considerate specialità da buongustai.
Per concludere la panoramica, anche a Napoli si consumano le "Freselle" con olio, aglio, olive e alici o tonno.