L'Italia come ben sappiamo è una sorta di ponte che unisce l'Europa all'Africa, pertanto non ci stupisce il trovare nella nostra cucina tradizionale anche il Cous cous che se è certamente il piatto dei Berberi per eccellenza anche nella nostra tradizione gastronomica trova delle espressioni di tutto rispetto.
Il Cous cous viene preparato con semola di grano duro macinata grossolanamente, ma può essere preparato anche con altri cereali quali miglio, orzo, mais o riso. Viene accompagnato da carni in umido, o verdure bollite ma nella cucina siciliana maggiormante si usa il pesce.
In effetti troviamo il Cous cous anche nella Sardegna sudoccidentale, dove viene chiamato Kaskà, ma lo troviamo anche a Livorno e a Genova. Nella cucina marchigiana i frascarelli originariamente sarebbero stati un cous cous di grano tenero in cui quest'ultimo, col tempo, è stato sostituito da riso stracotto.
Ma torniamo al Cous cous alla siciliana, il Kuskussù, viene fatto con una buona zuppa di pesce e il pesto di mandorle, aglio e prezzemolo. Poi c'e la parte magica e artistica dell'incocciatura: ovvero la semola deve essere mischiata, lavorata e legata nella mafaradda che è un grosso recipiente di terracotta a pareti svasate dove viene versata a pioggia la semola poco per volta che con un movimento circolare della mano viene legato progressivamente ma molto lentamente all'acqua. Successivamente si toglie la semola incocciata e la si pone su un telo ad asciugare per almeno tre ore anche se c'è chi lo fa il giorno prima per il giorno dopo. Quando la semola incocciata si sarà seccata la si pone nuovamente nella mafaradda per farle assorbire il pesto ancora una volta lavorandola con un movimento verticale che porti il condimento dal basso verso l'alto amalgamando il tutto e guai a fare grumi….questa nella tradizione era una delle prove da superare per le promesse spose.
A questo punto entra in scena la Cuscussera: è una pentola a due piani: la parte inferiore la“pignata” è destinata a contenere l’acqua; mentre la parte superiore, rigorosamente di coccio, è costituita da una pentola coi buchi che viene poggiata sulla pignata e serve per la cottura a vapore. Le due pentole vengono fatte aderire fra di loro mediante l’applicazione nei bordi laterali che entrano in contatto della classica pasta composta con farina e acqua dopo aver riempito la pignata per un terzo d'acqua. Per cucinare il composto che abbiamo descritto sopra bisogna otturare i fori con delle foglie d'alloro e spalmare con l'olio prima di versare il tutto praticando tre fori che arrivano sino alla base, solo a questo punto inizia la cottura a fuoco vivace. Quando si avranno i primi vapori uscire dai fori si mischia il tutto dal basso otturando i fori e si completa la cottura per un oretta e mezza a fuoco lento.
Quando il cuscus sarà cotto lo mettiamo nella mafaradda, lo mescoliamo e togliamo le foglie di alloro. Uniamo una metà del brodo della zuppa di pesce preparato precedentemente. Copriamo la mafaradda con una tovaglia, che le massaie siciliane raccomandano sia stata lavata senza l’uso di detersivi che potrebbero cedere il loro odore al cuscus, e una coperta per perdere il calore interno e lasciando riposare per circa due ore.
Serviamo quindi il Cous cous nei piatti aggiungendo a guarnitura abbondante polpa di pesce. Poi portiamo in tavola anche il brodo rimasto da aggiungere al cous cous secondo i propri gusti.
Tra le usanze c'è anche gustare il cuscus spremendovi del succo di limone e pepe nero macinato al momento.
La lavorazione del cuscus trapanese è piuttosto lunga e complessa e abbiamo cercato di essere sintetici nel descriverla, ma il risultato è senza dubbio uno dei vertici della cucina siciliana. Se poi volete avere un'occasione di assaggiare tanti cous cous e incontrare tanti popoli uniti da questo piatto il Cous cous Fest di San Vito lo Capo è l'occasione giusta per una gita enogastronomica in una regione bellissima.