Nella cronaca di questi giorni il nostro martoriato paese si trova a fronteggiare episodi di maltempo che interessano tutta la penisola da nord a sud con manifestazioni di violenza inaudita. In un giorno si riversano le piogge che normalmente sarebbero registrate in settimane, grandinate con chicchi di dimensioni straordinarie, venti da tifone equatoriale e il territorio viene colpito da forze che non è in grado di fronteggiare. Purtroppo le conseguenze sono sotto gli occhi e nel cuore di tutti noi in primis per le vite perdute in questi eventi e poi per lo scempio al territorio e i danni prodotti. Naturalmente la cementificazione selvaggia è al primo posto tra le cause dei disastri ambientali, e dunque il come s'è costruito, il dove e quanto sfogo naturale sia stato tolto alle acque meteoriche sono evidenti testimonianze di un utilizzo dissennato del territorio. Non credo sia una novità per nessuno il ruolo che l'agricoltura e la silvicoltura svolgono in termini di capacità di mitigare quei disastri naturali come inondazioni o incendi la dove vengono portate avanti le buone pratiche che da sempre costituiscono un presidio del territorio. Cercherò di spiegarmi meglio: il contadino ha l'interesse a preservare il territorio e pone in atto quelle misure che in sinergia garantiscono la protezione per esempio attraverso gli antichi reticoli idrici di canali, fossati e argini che nelle aree agricole marginali erano utilissime nella prevenzione di frane ed esondazioni.
Mi piace portare a esempio il lavoro degli agricoltori liguri che con un lavoro incessante fatto di terrazzamenti con muri a secco strappavano terreni ai tratti più impervi delle alture ottenendo dei prodotti magnifici ma preservando quei territori da frane e smottamenti. Le sistemazioni del terreno, sia esso pianura, collina o montagna, sono il caposaldo della difesa del suolo e consentono di concertare l'utilizzo del suolo con il ciclo dell'acqua. Bisogna che le acque possano scolare il più rapidamente possibile dai terreni di pianura, e si possano trattenere il più a lungo possibile nei terreni di montagna. Infatti, come abbiamo visto, grossi volumi di acqua di precipitazione possono allagare i suoli di pianura, provocando fenomeni di asfissia e danni alla vegetazione, mentre in montagna possono causare erosioni e frane.
Le sistemazioni dei terreni di pianura devono dunque agevolare lo sgrondo delle acque di precipitazione, prevenendo impaludamenti e ristagni di umidità.
In questo caso gli appezzamenti coltivati saranno caratterizzati da "baulature", che sgrondano l'acqua in fossi o scoline. l campi sono collegati da stradine campestri, solitamente inerbite, che possono all'occasione avere funzione anche di scoline.
Le dimensioni dell'appezzamento coltivato sono molto variabili in funzione delle località. Per esempio nella sistemazione alla ferrarese i campi possono essere larghi 40-50 metri e lunghi da 200 a 700-800 metri, mentre nella sistemazione alla toscana solo 20-30 metri larghi e lunghi un centinaio. Tuttavia, le superfici coltivate, nella sistemazione a “porche”, possono avere una lunghezza inferiore a un metro. In questo caso, si utilizzano i fossi che separano le "porche" per irrigarle.
L'arte delle sistemazioni nasce da un'esperienza di molte generazioni e viene tramandata: la sistemazione alla ferrarese non potrebbe funzionare in Toscana, per via della natura del suolo e del clima.
Le sistemazioni dei terreni nel pendio tendono a trattenere le acque generate dalle precipitazioni, lasciandole infiltrare nel suolo, impedendo il rapido deflusso superficiale, spesso possibile causa di fenomeni erosivi.
Le sistemazioni dei terreni in pendio assumono aspetti spettacolari. Ne sono un esempio le terrazzature sulle alture delle cinque terre in liguria o le sistemazioni a spina a Meleto in Val d'Elsa, che all'inizio del 1880 hanno trasformato colline squallide, erose e destinate a pascolo di bassa qualità, in ambienti splendidi, di colture fiorenti.
Le sistemazioni a spina oggi, poiché richiedono troppo lavoro, stanno scomparendo. Sono sostituite dalle sistemazioni a ritocchino, eseguite lavorando il terreno secondo le linee di massima pendenza, che però spesso agevolano i processi erosivi. La lavorazione risulta di gran lunga più economica ma i danni prodotti all’ambiente sono incalcolabili.
Le buone pratiche di sistemazione, quelle "di traverso", sono invece sempre un investimento proficuo anche per le generazioni future. Le più comuni sono le sistemazioni dette a a girapoggio, a serpeggiamento, a cavalcapoggio, e così via. Quando le pendenze sono particolarmente gravose, si realizzano terrazzamenti (le terrazze sono sorrette da argini costituiti da muri a secco o in calce) e ciglionamenti (gli argini sono scarpate inerbite). Quando la pendenza è considerevole, ma disforme, si preferisce il gradonamento: un gradone può essere sorretto da muri o da ciglioni, ma si adatta alle condizioni naturali e si può interrompere anche più volte in brevi spazi per la presenza di speroni rocciosi, macchie, ecc. Alberi isolati su pendici molto scoscese possono essere protetti anche da muretti semicircolari, situati a valle della base del tronco o della ceppaia: si parla di lunette. Questa rappresenta solo una brevissima panoramica delle pratiche che l'agricoltura tradizionale italiana presenta e che se risulta funzionale alla gestione delle acque meteoriche, dall'altra fa si che il nostro territorio risulti unico e bellissimo. Ancora oggi andando a spasso per la nostra bellissima Italia possiamo vedere quei paesaggi in cui appezzamenti coltivati si alternano con delle fasce di siepi e alberi che li delimitano gli uni dagli altri, fornendo peraltro utile riparo anche alla fauna selvatica, con i fossati di scolo che convogliano le acque.
Questo non ci deve portare a pensare che l'agricoltura sia una panacea che porti solo benefici perchè alcune pratiche agricole possono determinare pressione sull’ambiente e provocare degrado dei terreni, inquinamento delle acque e perdita di habitat naturali e di biodiversità (Comun. Commiss. Eur. “La Pac verso il 2020”, 672/5-2010). Il dissesto idrogeologico viene indicato tra le principali conseguenze di pratiche agricole errate e di un uso dissennato del suolo diretta conseguenza di una inesistente o deficitaria pianificazione del territorio. In un territorio come quello italiano non si possono abbandonare le aree agricole marginali a favore dello sfruttamento intensivo solo delle grandi estensioni, con la relativa scomparsa di antiche sistemazioni idraulico agrarie ma, soprattutto, di quella attività di “profilassi”, di difesa attiva che consisteva nella cura di un reticolo idrografico minore, dalla gestione dei fossi alla riparazione di un argine, dei muri a secco per il contenimento delle scarpate, opere fondamentali, come s'è detto, per evitare frane ed esondazioni. Dunque quando si difende il prodotto italiano, non è una difesa nazionalistica o corporativa ma il voler conservare un patrimonio che va ben oltre la produzione dell'alimento poichè comprende, come abbiamo visto, molto di più.
A fronte di questi fatti oggettivi, vi è un ricorso da parte di molti mezzi di informazione, ad un catastrofismo eccessivo che non mette in condizioni di comprendere quali sono le reali cause di un dissesto idrogeologico sempre più diffuso. Oggi i tempi sarebbero maturi per riconoscere agli agricoltori la valenza polifunzionale della loro presenza sul territorio, come presidio funzionale ed economicamente sostenibile ma anche di riconoscere agli agricoltori un ruolo di preminenza e di priorità nella collaborazione con i soggetti pubblici per la corretta gestione delle risorse idriche, della manutenzione del reticolo idrografico e delle pendici collinari.
Dunque sarebbe auspicabile un sistema che incentivi gli agricoltori a utilizzare pratiche agronomiche che possano contribuire significativamente alla riduzione del rischio idrogeologico (lavorazioni di traverso in zone collinari) e a sviluppare buone pratiche agronomiche durante il riposo per favorire l’assorbimento delle acque meteoriche in stagioni piovose, con conseguente allungamento dei tempi di corrivazione e recupero delle sistemazioni idraulico agrarie (dai terrazzamenti, ai ciglionamenti con riduzione delle portate solide e minore erosione). In altri termini si tratta di proporre una nuova alleanza fra agricoltori, i cittadini e gli altri settori economici, che vede gli agricoltori non più come una parte residuale, ma come protagonisti non solo della produzione di alimenti sani a salubri ma anche come coadiutori del mantenimento di beni comuni quali il paesaggio, la biodiversità e la riduzione del rischio idrogeologico. E’ stato calcolato che, in Italia ad esempio, per ogni milione di euro speso in prevenzione del rischio idrogeologico, si andrebbero a risparmiare 5 milioni di euro in termini di riparazione dei danni causati dal dissesto idrogeologico….