Nel nostro paese, per molteplici ragioni che spaziano dalla posizione geografica al clima, alla morfologia e, non un ultimo, un pizzico di creatività, abbiamo il maggiore assortimento di salumi, formaggi, vini, diciamo specialità enogastronomiche che in nessun altro posto al mondo. Pertanto i nostri antenati si sono inventati di fare salumi con tutte le specie di carne ( anche col pesce!!) che avevano a disposizione. In Italia il consumo di salumi di pecora ha a due origini: la prima fa riferimento alle tradizioni regionali, mentre la seconda si lega all’immigrazione in Europa degli islamici. Il salame di pecora, per esempio, ha origini antichissime e, probabilmente, fu prodotto da pastori dediti alla transumanza che utilizzavano le carni degli animali del proprio gregge per l’approvvigionamento alimentare ma non è da escludere una produzione casalinga effettuata nelle località montane.
I salumi veri e propri possono venire classificati in modi diversi a seconda del taglio, del tipo di carne, se solo ovina o con grasso suino e il metodo utilizzato nella confezione del salume. Facciamone una panoramica.
In Val Camonica, nella Lombardia centrale, troviamo la salsiccia di castrato: l’impasto prevede carne ovina sgrassata, sale, pepe macinato, spezie e aglio. Insaccata in budello naturale, si lega il tutto formando pezzi di circa 20-30 cm, annodati in coda e in testa, per un diametro di circa 6-7 cm. La consistenza è morbida, il colore è rosso mattone all’interno e grigiastro all’esterno.
In Sardegna, la salsiccia di pecora, a forma di ferro di cavallo, viene insaccata in budello naturale e fatta stagionare 15 giorni.
Nell'Italia centrale, nelle Marche, la tradizione del salame di pecora prevede che a una miscela di carni di pecora (coscia e spalla) si aggiunga grasso di maiale ed eventualmente carne di maiale. Le carni private del grasso, vengono tagliate a pezzi e messe a macerare per alcune ore con vino rosso e spezie. Asciugate e macinate, vengono addizionate di sale, pepe e altre spezie, peperoncino, anice. La stagionatura prevista è di almeno 30 giorni e in alcuni casi si effettua anche una leggera affumicatura.
In Abruzzo il prodotto tipico è la “salamella di Tratturo”che deriva dalla tradizione dei pastori transumanti: è un insaccato crudo, affumicato, fresco o conservato sott’olio, prodotto con carni ovine e grasso suino. Alla carne di pecora si aggiungono pancetta e lardo stagionato (massimo 10%), sale, pepe in grani, cumino, fiori di aneto. L’affumicatura prevede legno di ginepro e quercia.
Anche in Toscana segnaliamo il salame di pecora, ma si usa una maggiore percentuale di carne di maiale. In Sardegna il salame di pecora viene preparato aggiungendo carne suina e spezie all’impasto. Viene affumicato per 10-15 giorni e poi stagionato per 20-30.
In Veneto la coscia di agnello diventa prosciutto cotto. Disossata, viene salata, speziata e lasciata a marinare per alcuni giorni in frigorifero. Viene cotta a vapore e immersa in infuso di timo.
In Toscana la coscia di agnello disossata, sgrassata e aromatizzata viene cotta in forno quindi leggermente affumicata con fumo di legno di faggio e bacche selvatiche.
In Sardegna troviamo il “presutto ’e brebei” che è un prosciutto di cosce di pecora di razza sarda, di forma allungata a pera. Ha colore marrone scuro superficiale e rosso bruno intenso all’interno. La salatura è a secco (una miscela di sale, pepe e noce moscata, peperoncino, aglio e prezzemolo) e dura circa 4 settimane. Il peso varia tra 1,5 e 2 kg. Si consuma anche affumicato con legna (non resinosa) e foglie di mirto.
In Puglia e Molise troviamo la “muscisca (o misischia)”. Nella provincia di Foggia la pancetta o carne disossata di pecora o di capra viene tagliata a strisce lunghe 20-30 cm e sottili e condita con sale, peperoncino e semi di finocchio. Essiccata al sole, si conserva per alcuni mesi e si consuma cruda o arrostita.
In Veneto trovate la “carne de fea afumegada”: prodotta nella provincia di Belluno con un profumo intenso di ginepro ha un colore bruno scuro e un sapore deciso e salato. La carne frollata viene messa a macerare con la concia, a strati. Quindi viene fatta affumicare per 4 o 5 ore, durante le quali la carne viene girata più volte. Si mangia cotta o tagliata sottile, come il carpaccio, e bagnata con succo di limone.
In Friuli si usa fare la “peta”, detta anche “pitina o petuccia”, a seconda delle zone e della percentuale di carne ovina utilizzata. Mentre la peta e la petuccia sono composte da carne fresca di bovino, ovicaprino, suino e selvaggina, la pitina è composta per i due terzi da carne fresca di ovino o caprino o selvaggina e con un’aggiunta di maiale per il restante terzo. Alla carne tritata viene aggiunta una concia di sale, pepe, ed erbe e piante aromatiche di montagna. Ridotta in polpette, la carne viene pressata, avvolta in teli e fatta affumicare.
Che dirvi, solo a scrivere m'è venuta l'acquolina in bocca…..