I dolci tipici del Natale italiano  hanno il sapore dell'infanzia, di aromi legati alla terra d'origine e di una cultura che affonda le proprie radici nella notte dei tempi e nelle sagre paesane , tra questi uno dei più antichi è il torrone. Se dovessimo stabilire con esattezza le origini del Torrone ci troveremmo di fronte alla solita disputa di campanile tra i sostenitori delle origini beneventane e di quelle cremonesi. q

 La fazione cremonese sostiene  che il torrone nacque lì, nel 1441, durante il banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza, quando venne preparato un dolce chiamato "Torrazzo" come l’alta torre campanaria del duomo della città, da cui avrebbe preso il nome. Questo torrazzo, più tardi torrone, prendeva spunto  dalla ricetta riportata tra il 1100 e il 1150, da Gherardo Cremonese nella sua traduzione  del “De medicinis e cibis semplicibus”, scritto dal medico di Cordova Abdul Mutarrif per il quale il torrone sarebbe ad ogni modo di derivazione araba, sarebbe quindi una variazione della famosa “cubbaita” o “giuggiolena”, dolce arabo fatto di miele e sesamo. Questo episodio viene rievocato ogni anno con una Festa del Torrone. Tuttavia la prima notizia certa riguardo al torrone a Cremona risale al 1543, anno in cui il comune di Cremona acquistò del torrone per farne dono ad alcune autorità, soprattutto di Milano.

aLa fazione beneventana fa risalire le origini a epoche ben antecedenti, addirittura ai Sanniti. Di fatto il torrone era conosciuto già al tempo dei Romani come dimostrano alcuni scritti di Tito Livio e Marco Terenzio Varrone il Reatino che citava nel 116 circa a.C., il gustoso “Cuppedo”in onore di Cupido: “Cupeto” è ancora oggi il nome del torrone in molte zone dell’Italia Meridionale. Anche Apicio, nel suo De re coquinaria, lascia una ricetta su come preparare le noci e pinoli impastati col miele, dando un nome sulla preparazione molto vicino al dolce in questione. Peraltro l'etimologia del nome “torrone” ci porta  al latino torrere = tostare, abbrustolire con riferimento alla tostatura delle nocciole che lo compongono.

Questa specialità era parte della tradizione delle feste nella zona  da secoli e questo sia a livelli domestici che artigianali finché subì evoluzioni e radicali modifiche  nella metà dell'Ottocento, nel 1871 si avviò la produzione dei torroni in carta e in astucci e grande impulso al settore diedero le numerose ditte molte delle quali, nel 1908, consorziate nelle Fabbriche Riunite del Torrone di Benevento.

 Nel XIX secolo vennero sviluppate celebri tipologie di torroni come Il perfetto amore, il Torrone del Papa, il Regina, l'Alicante, l'Ingranito.Sempre nel Novecento anche la ditta Alberti avviò la produzione di torrone, mentre dal 1891 a San Marco dei Cavoti  il cavalier Innocenzo Borrillo con la produzione dei Torroni Baci fondò una propria azienda alla quale, nel corso del secolo, se ne affiancarono altre otto contribuendo a trasformare il piccolo centro della provincia nel "Paese del Torrone" dove ogni anno, dal 2000, si svolge la Festa del Torrone. Ricordiamo anche un piccolo centro di 600 abitanti nella Bassa Irpinia, Dentecane,  compreso nel comune di Pietradefusi, a metà strada tra Avellino e Benevento, che difficilmente sarebbe passato alla storia (e anche alla geografia) se non avesse potuto contare su un piccolo record: la più alta concentrazione di torronifici artigianali in Italia. Sono ben quattro, distanti poche decine di metri l’uno dall’altro, con i laboratori che trasformano le materie prime di alta qualità del territorio (miele, nocciole e mandorle) in un torrone artigianale di qualità eccellente.

Al di là delle contese sulle origini, il torrone artigianale trova tantissime realizzazioni di ottimo livello, in fondo è una preparazione semplice: è composto da miele, nocciole o mandorle tostate e albume d'uovo  spesso ricoperto da due strati d'ostia. Ciò che fa la differenza è l'uso dello zucchero al posto del miele di cui vi accorgete subito perchè se usato fa si che il torrone si attacchi ai denti, e poi la tipologia del miele usato. Il torrone sardo al mirto è certamente un prodotto di eccellenza assoluta. In Sardegna esiste una antica tradizione nella produzione del torrone che sembra sia di derivazione spagnola, proveniente da Alicante, l’Alcant araba. Eppure l’Isola è stata latina per 700 anni e all’epoca era grande produttrice ed esportatrice di miele destinato a Roma. Il primo documento sul torrone in Sardegna, da poco ritrovato, appare nell’archivio di Stato di Cagliari, dove un documento datato 7 dicembre 1614, scritto in catalano, riporta che il torrone era confezionato a Cagliari nel sobborgo di Villanova, e di due qualità: cujtures de torrons blanchs j negres, bianco e nero.Un registro dei primi del ‘900 annota ben 89 licenze di venditori ambulanti, su gran parte di esse compare la voce torrone. I torronai facevano parte della categoria dei “Biajantes” meglio definiti col nome di “Carrattoneris” perché per il trasporto delle mercanzie si servivano di carri trainati da buoi o cavalli. Essi vendevano ma per lo più barattavano ogni genere di prodotto che la montagna offriva; difficilmente la vendita di un solo prodotto infatti, avrebbe garantito il sostentamento. La produzione del torrone in Barbagia, è dovuta all'esigenza di valorizzare e sfruttare i prodotti originali della natura: il miele saporito e gustoso della montagna, le noci e le nocciole delle profonde e verdi vallate. centri produzione più rinomati erano Aritzo e Tonara, ma vi erano anche altri paesi minori.  Nella casa del torronaio, le imprese erano spesso a livello casalingo, il profumo delle mandorle e delle nocciole abbrustolite aleggiava mescolandosi con quello del miele che cuoceva in un grosso pentolone in rame. Il torrone veniva lavorato con una grossa pala in legno che fungeva da miscelatore, questo comportava un lavoro faticosissimo che durava anche 5-6 ore poiché non bisognava mai smettere di mescolare o si sarebbe compromesso tutto il lavoro fatto. Quando il miele era ben caldo, si aggiungeva l'albume d'uovo montato a neve che fungeva da lievitante. Si proseguiva poi con la lavorazione sino a che il torrone non raggiungeva la giusta consistenza e il tipico colore candido. Infine si versavano le mandorle, nocciole o noci e lo si travasava nelle apposite cassette il legno. Grazia Deledda nell’articolo “Gonare”, del 1892 di Vita Sarda, racconta che le espositrici tonaresi: “…segavano con coltelli affilati i torroni, fatti dalle loro stesse mani…2